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Giovedì, 13 Febbraio 2020 22:12

Civiltà decadente

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Che non ci sia un limite al peggio è una constatazione che sempre più spesso possiamo toccare con mano. Viviamo oggi un’epoca dove pare che l’evoluzione umana abbia preso una preoccupante deriva realizzando grandi progressi nella scienza e nella tecnologia da una parte, ma manifestando una pericolosa regressione dal punto di vista sociale, politico e culturale.

Questo comporta che ci vengono messi a disposizione strumenti e mezzi sempre più avanzati che potrebbero migliorare la vita di tutti, ma che spesso vengono utilizzati male, soprattutto a fini bellici o per egoistici interessi privati senza considerare i danni che possono causare. Danni che a volte si trasformano in veri e propri disastri umanitari e/o ambientali.

Non per nulla gli scienziati parlano di una fase di transizione antropologica, una nuova era per la quale è stato coniato il nome di “antropocene” vista la supponenza dell’uomo contemporaneo nel ritenersi padrone non solo del proprio destino, ma anche di quello della Terra più in generale. I cambiamenti climatici in atto ne sono una dimostrazione evidente; qualche giorno fa in Antartide si sono toccati i 18° centigradi il che rappresenta la temperatura più alta mai toccata in quella importante regione della biosfera. Volendo rimanere in Italia sono appena trascorsi i cosiddetti “giorni della merla” tradizionalmente ritenuti i più freddi dell’anno mentre pare di essere in primavera con gli evidenti danni che  tutto questo comporterà all’agricoltura e alla natura più in generale.

Ciò che lascia maggiormente perplessi di fronte a questi scenari è il perché l’uomo si comporti in questa maniera irresponsabile pur sapendo che così non lascerà scampo alle future generazioni, ma anche alle presenti vista l’accelerazione dei fenomeni climatici estremi che stanno letteralmente modificando il nostro modo di vivere. Il problema è che se qui da noi potremo sostituire le castagne con i datteri e andare ad abitare a quote più elevate per trovare un po’ di refrigerio  in altre parti del mondo saranno sempre più soggetti, e in parte già lo sono, a inondazioni, siccità estreme, desertificazione dei suoli, incendi così che non potranno più coltivare nulla e non avranno nemmeno di che sfamarsi. Tutto questo non è un futuro lontano da venire e  già oggi comporta fenomeni migratori colossali e ingestibili per i quali la comunità politica internazionale si rivela assolutamente inadeguata.

Se oltre al clima spostiamo lo sguardo su altri temi come quello della salute pubblica guardiamo cosa sta accadendo oggi con il “coronavirus” dove una grande potenza come la Cina ha chiaramente sottovalutato la questione chiedendo molto tardivamente aiuto alla comunità internazionale. Eppure la Cina è una nazione da 1,4 miliardi di abitanti che dalla fine del secolo scorso vede il proprio PIL aumentare a balzi del 10% all’anno, ma invece di investire sulla salute e sul benessere dei propri cittadini o sulla salvaguardia dell’ambiente pensa piuttosto ad incrementare le spese militari, in crescita per il 24° anno consecutivo. Spese che si attestano oggi sui 250 miliardi di dollari posizionandola al secondo posto dopo gli irraggiungibili Stati Uniti. Si è preso l’esempio della Cina semplicemente perché siamo partiti dal coronavirus, ma lo stesso tragico gioco al massacro vale per le altre potenze mondiali a partire dalla Francia con 64 mld di dollari, che supera la Russia con 61,4 mld, per arrivare all’Arabia Saudita con 67,4 mld e ai già citati Cina e USA che investono, questi ultimi da soli, l’iperbolica cifra di 694 mld di dollari l’anno. A livello mondiale si parla in totale della cifra “monstre” di 1,8 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Teniamo a mente questa cifra. Senza andare sugli ultimi della classifica della povertà mondiale se pensiamo che una nazione come l’Uganda (40 mln di abitanti con un PIL pro capite di circa 600 dollari l’anno) ha un PIL di 26 miliardi di dollari o il Bangladesh (169 mln di abitanti con un PIL pro capite di circa 1.500 dollari) ha un PIL complessivo di circa 250 mld di dollari ci possiamo rendere conto di come le ingenti cifre investite dalle potenze mondiali in soli armamenti, di gran lunga superiori all’intero PIL di interi Paesi in via di sviluppo, siano spropositate, ingiuste e destinate a rendere il mondo sempre più conflittuale e pronto ad esplodere.

Un passaggio ulteriore lo si può fare sulla tecnologia non bellica con particolare attenzione a ciò che riguarda i rischi per la salute. Ci troviamo quotidianamente sottoposti a mille nuove emissioni inquinanti e ad attività potenzialmente nocive, ma  invece di pensare a salvaguardare la nostra salute e quella dei nostri figli ci si concentra immediatamente sui possibili risvolti economici. Ciò che aggrava il tutto è che chi osa chiedere maggiori informazioni, maggior dibattito pubblico, maggior trasparenza dell’informazione, maggiori controlli, maggiori garanzie sulla non nocività di una determinata attività viene immediatamente bollato come un troglodita che vuole tornare al tempo delle caverne. In un recente dibattito pubblico esclusivamente a favore del 5G, senza il minimo contraddittorio, qualcuno si è spinto addirittura a paragonare gli scettici e i critici, scienziati compresi, niente di meno che ai “terrapiattisti” palesando una mancanza di conoscenza e di informazione specifica, oltre che di rispetto per chi la pensa diversamente, tipica di chi non avendo argomenti, su un tema su cui non è esperto, la butta sul dileggio e sullo scherno verso chi non essendo presente non può nemmeno controbattere. Possibile che sia così difficile pensare che se di una nuova tecnologia non si conoscono i potenziali danni è meglio non rischiare utilizzando il principio comunitario della precauzione?

La società attuale è paragonabile a un treno in corsa che pare aver rotto i freni e si sta dirigendo a tutta velocità verso un schianto che potrebbe risultare fatale a molti. Sarebbe il caso che le teste pensanti e responsabili dell’intero pianeta si schierassero tutte dalla stessa parte a favore del bene comune e della collettività, della quale peraltro facciamo tutti parte, abbandonando arcaiche ideologie e posizioni prevenute rendendosi disponibili al dialogo e al confronto mettendo a disposizione le proprie conoscenze e le proprie capacità prima di trovarsi nell’emergenza così come è accaduto ora con il coronavirus.

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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