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Lunedì, 08 Luglio 2019 19:52

Perchè l'Italia perde i pezzi (parte prima)

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La settimana scorsa parlando di poteri forti, cioè di quei poteri economici privati che influenzano scelte pubbliche, abbiamo accennato all’annosa questione della gestione della autostrade italiane.
Per entrare maggiormente nel dettaglio su ciò che ci riguarda da vicino e cioè la scadenza, già avvenuta nel 2016, della concessione ATIVA (TO-Quincinetto, tangenziale di Torino, bretella per Santhià) può tornare utile fare una breve sintesi della storia delle autostrade in Italia.

Quanto accaduto nel tempo ci dà il polso di come l’Italia sia riuscita a risollevarsi dai disastri della guerra diventando una potenza mondiale per poi lasciar depredare l’immenso patrimonio pubblico creato da privati senza scrupoli assecondati da politici collusi e da una corruzione dilagante che ha dato il via libera alla malavita organizzata anche all’interno delle istituzioni, ma torniamo alle autostrade.
La prima nasce, nel 1924, per intuizione dell’ing. Piero Puricelli e collega Milano a Varese; diventerà in seguito l’Autostrada dei Laghi e avrà un costo complessivo di 90 milioni di lire (poco più di 45.000 euro). E’ curioso evidenziare che nel 1923 gli automezzi circolanti in Italia erano circa 85.000: automobili, camion e autobus compresi. Nel 2018 erano 51.682.370. Non esistevano i caselli e il pedaggio, per un’unica corsia per senso di marcia, si pagava tramite una sosta obbligatoria all’area di servizio. Il pagamento per l’utilizzo di questa nuova arteria stradale, secondo l’idea di Puricelli, sarebbe servito a rimborsare l’ente costruttore delle spese di costruzione, esercizio e manutenzione.
Fin dalle origini le autostrade vengono finanziate e costruite con soldi pubblici per poi venire cedute in concessione, ma mantenendo la proprietà in mano statale. Nel 1928 viene fondata l’ANAS con il compito di gestire e manutenere le strade statali, ma anche quello di vigilare sulle concessioni autostradali. Siamo in piena epoca fascista e il regime spinge per la realizzazione di nuove arterie; spinta che però si esaurirà nel 1935 rallentando o fermando i cantieri fino alla fine della guerra. Negli anni ‘50 del ‘900 ci fu un grande impulso alla realizzazione di nuove autostrade, operazione ovviamente ben vista e sollecitata dalle industrie automobilistiche del nord, Fiat in testa. Ecco spuntare uno di quei poteri forti, quello dell’industria automobilistica privata, in grado di condizionare le scelte pubbliche dell’epoca riguardo gli investimenti infrastrutturali per i trasporti privilegiando evidentemente il privato, per il trasporto su gomma, in luogo del pubblico, in primis con la ferrovia. Gli anni ’50 furono quelli del boom economico il cui simbolo, per ciò che riguarda i trasporti, fu la mitica 600 della Fiat presentata al Salone di Ginevra nel 1955. In quello stesso anno, con la legge Romita, si diede vita a un piano decennale per la rete autostradale di seconda generazione il cui simbolo diventò l’Autostrada del Sole: Milano-Roma-Napoli. Siamo negli anni in cui gli occupati nell’industria superano per la prima volta quelli dell’agricoltura.
Questa fase di sviluppo frenetico e non sempre previsto determinò anche delle problematiche, soprattutto in tema di sviluppo sostenibile, sia ambientali che economiche, ancora oggi in parte irrisolte. L’idea originaria era infatti quella di far costruire le opere al pubblico, ma anche da privati che si sarebbero ripagati i costi con le concessioni pluriennali e i relativi pedaggi. Questo meccanismo però non fu ben gestito e soprattutto al sud si verificò un ritardo infrastrutturale destinato a durare nel tempo che determinò, negli anni sessanta, un forte fenomeno migratorio verso il nord industrializzato. Nel 1961, con la legge Zaccagnini si compie un altro passo importante e cioè il passaggio delle autostrade, fino ad allora facenti capo all’Anas, alla società pubblica Autostrade, appositamente costituita dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale creato nel 1933) per la realizzazione dell’Autosole. Anche la storia dell’IRI meriterebbe qualche riflessione se non altro perché nel 1993 si trovava al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato, con 67,5 miliardi di dollari di vendite. Una vera potenza industriale a livello mondiale, ma qualcuno decise di smembrarlo privatizzando le circa 1000 società che lo componevano.
Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso vennero costruite molte nuove tratte autostradali, quasi sempre a debito con garanzia dello Stato, utilizzando la leva delle concessioni le quali avrebbero permesso agli investitori di rientrare dei capitali spesi grazie ai pedaggi per poi devolvere, come da contratto, l’opera pubblica allo Stato. Questo passaggio finale, quasi mai effettuato, è fondamentale nel prosieguo della storia ed è tornato fortemente alla ribalta dopo il crollo del Ponte Morandi e le dichiarazioni dell’attuale Governo riguardo la revoca della concessione dei 3.000 km di rete ad ASPI (Autostrade per l’Italia nel frattempo diventata Atlantia). L’idea originaria parrebbe buona peccato che la riconsegna del bene allo Stato non è quasi mai stata eseguita e le lucrose concessioni sono state sempre prorogate gratuitamente nonostante le opere costruite fossero state ammortizzate da tempo.
Un anno fondamentale per tutta la storia è il 1999 anno in cui la società Autostrade Spa, emanazione dell’IRI che nel frattempo era stata smembrata e venduta quasi completamente, gode di ottima salute con un valore della produzione di quasi 4.000 miliardi di lire (circa 2 mld di euro), un risultato operativo di 1.242 miliardi e un risultato netto di 581 miliardi con un incremento rispetto all’esercizio precedente del 20,5%. Dati così positivi che lo Stato, dopo aver sottoscritto nel 1997 una proroga dal 2018 al 2038 della concessione ad Autostrade (ancora pubblica), decide di privatizzarla: un gran bel regalo ai privati. Siamo in periodo di governi “ulivisti” con Prodi e D’Alema che si scambiano la poltrona di Presidente del Consiglio. Con queste dismissioni mettono la parola fine ad aziende statali di primordine a favore di gruppi industriali privati che si arricchiranno in maniera esagerata spesso senza alcun merito e senza ottemperare, almeno per quanto riguarda le autostrade, agli obblighi di cura e manutenzione del bene ricevuto e gestito. Nel frattempo il debito pubblico italiano lievitava …

fine prima parte

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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