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Venerdì, 13 Novembre 2020 11:17

Nè forma, nè sostanza

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La Serra di Cappai e Mainardis, costruita nel cuore della città, avrebbe dovuto fungere, secondo la volontà dei progettisti, da cerniera tra il moderno della nuova futuristica costruzione e l’antico del centro storico eporediese e tra i frequentatori esterni e i cittadini residenti.

E’ infatti nata per ospitare i molti ospiti internazionali che allora lavoravano e/o collaboravano con la Olivetti. Per fare sì che costoro non si sentissero estranei alla città e ai suoi abitanti il complesso della Serra fu pensato con al suo interno: le famose micro-cellule abitative (che richiamano i tasti di una macchina da scrivere), una piscina, un bar ristorante, un auditorium, alcuni locali adatti ad ospitare piccole attività commerciali e la splendida sala cupola che può ospitare un centinaio di persone per convegni, conferenze, incontri culturali. Il tutto costruito sopra dei reperti archeologici che furono salvaguardati e resi visitabili anche se poi nel tempo nulla o quasi è stato fatto sul fronte della loro fruibilità dal punto di vista didattico e turistico. Una sorta di città nella città in grado di ospitare centinaia di persone che, come detto in precedenza, si volevano far sentire quale parte integrante della città che li ospitava. Un forte elemento identitario di questo edificio era infatti il suo essere uno spazio nel quale un ospite poteva trovare tutto ciò che avrebbe potuto desiderare, ma non rimanendo isolato dalla città, ma diventandone un abitante a tutti gli effetti anche se magari solo per pochi giorni. Ecco che il punto nodale di tutto il progetto viene assunto dal grande atrio pensato dai progettisti come una piazza coperta, come una cerniera in grado di far entrare a contatto forestieri e residenti. Una piazza virtuale aperta verso l’esterno in modo da consentire l’incontro di due flussi che tendenzialmente non si incrociano.

Si è trattato certamente, anche se per poco tempo, di un esperimento sociale e urbanistico innovativo che purtroppo non ha retto ai fenomeni di trasformazione di processi industriali sempre più incentrati sulla mera ricerca del profitto. Trasformazione che purtroppo ha potuto cinicamente approfittare della morte prematura di Adriano mettendo la parola fine al suo sogno di una società più equa e giusta nella quale l’operaio e il dirigente, l’esterno e il residente, il giovane e il vecchio, l’uomo e la donna avrebbero potuto convivere in maniera paritaria nella quotidianità, condividendo anche interessi extra lavorativi di tipo culturale, sportivo, ricreativo.

Purtroppo le vicissitudini della grande fabbrica e l’incapacità di chi è arrivato dopo l’”Ingegnere” hanno portato alla fine di una storia irripetibile di lungimiranza e di una capacità imprenditoriale capace di guardare agli utili, per reinvestirli in azienda, ma anche al benessere dei lavoratori e non solo al mero profitto o a quella finanziarizzazione del capitalismo che è stata la causa dei disastri socio-economici che stiamo vivendo. Per ciò che riguarda la Serra il primo macroscopico errore è stato quello di farne uno spezzatino immobiliare con il solo intento di fare cassa e di sbarazzarsi di un patrimonio architettonico e culturale unico al mondo. Nei testi di architettura industriale a livello mondiale molto facilmente si può trovare infatti un capitolo che parla di questo edificio la cui immagine iconica spesso è stata inserita in copertina.

Come detto in precedenza quell’edificio multifunzionale è nato come un unicum funzionale tanto che dal giorno del suo affrettato e irresponsabile smembramento si sono accumulate nel tempo una serie di criticità che hanno portato alla situazione di degrado odierna nella quale, dopo il fallimento dell’operazione “Effetto Serra”, nata proprio per risollevare le sorti del complesso, per ben tre volte si è dovuto prendere atto della mancata partecipazione di pretendenti alla vendita all’incanto della porzione rimasta finora invenduta (sostanzialmente atrio e auditorium).

La cronaca delle ultime settimane ci racconta che l’attuale maggioranza di governo della città avrebbe voluto partecipare a quest’ultima asta, ma alla fine non ha avuto il coraggio di portare a compimento questo proposito accusando addirittura, questa è bella, la minoranza di questo dietro front. E quali sarebbero le colpe dei gruppi di minoranza secondo uno strampalato comunicato stampa del giorno dopo, non si sa bene di chi, che peraltro smentisce quanto affermato dal Sindaco in Consiglio Comunale? Di aver tenuto un atteggiamento “strumentale”. Gruppi di minoranza che in questa vicenda hanno invece portato avanti unitariamente e coerentemente una fattiva collaborazione finalizzata alla volontà di acquisire l’immobile, ma facendolo responsabilmente e nella piena consapevolezza di tutti i rischi e di tutte le criticità nell’interesse dei cittadini eporediesi.

Criticità non certamente chiarite da chi avrebbe dovuto farlo se nella Conferenza dei Capigruppo del 26 ottobre non è stato presentato uno straccio di documento. Solo dopo nostra esplicita richiesta, dopo qualche giorno, ci sono stati inviati un po’ di documenti, ma non il parere del Collegio dei Revisori dei conti  che è arrivato un’ora prima del Consiglio Comunale che all’ultimo è stato rinviato di un’ora. Ai dubbi emersi dalla lettura della documentazione tardivamente recapitataci si è così aggiunto il parere inequivocabile dei Revisori dei conti che in un primo passaggio rilevano che: «la documentazione risulta incompleta (manca una valutazione complessiva dei costi stimati del recupero funzionale dell’edificio) e ricevuta in tempi non sufficienti a consentire una valutazione tecnico/economica appropriata al merito dell’operazione» per proseguire suggerendo: «… al Consiglio Comunale di analizzare i termini dell’operazione nel suo complesso … e ritiene indispensabile richiamare … norme e principi che stanno alla base della buona amministrazione». Affermazioni che in buona sostanza ricalcano quanto da noi richiesto all’esecutivo, ma senza ottenere risposte convincenti.

Chiudiamo specificando che in Consiglio Comunale il nostro gruppo non ha espresso una dichiarazione di voto negativa rimandando alla fine del dibattito una valutazione di merito, ma ad una votazione non si è mai arrivati perché l’esecutivo ha deciso di ritirare la proposta. Hanno fatto e disfatto tutto con le loro mani manifestando per l’ennesima volta la superficialità e la fretta con la quale vengono affrontati, da questa eterogenea maggioranza, argomenti di rilievo come l’ipermercato alla stazione, il nuovo fantomatico centro cottura e via discorrendo. Ora passi l’inesperienza, ma se a questa si aggiunge una narrazione distorta della realtà, finalizzata a nascondere i problemi interni della maggioranza, l’impressione che ne esce è che la seconda metà del mandato potrebbe rivelarsi alquanto problematica.

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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