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Venerdì, 17 Agosto 2018 15:26

Fine della corsa

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La mattina del 14 agosto 2018, quando alle 11,36 sono crollati 200 metri del viadotto Morandi di Genova, verrà ricordata per molto tempo e potrebbe diventare uno spartiacque nella storia italiana. Si è trattato di una strage di vittime innocenti, 43 per la precisione oltre una decina di feriti e circa 600 sfollati. Numeri che si sentono solo in guerra. Numeri determinati da un’assurda lotteria di morte. La storia di ogni persona, di ogni famiglia coinvolta è straziante quanto casuale: chi stava andando al lavoro, chi in vacanza, chi a trovare dei parenti, chi aveva sbagliato strada e stava ritornando sui suoi passi e altrettanto toccante è la questione cronologica. Chi ha sorpassato un camion è finito nel baratro salvando di fatto l’autista di quel mezzo pesante che ha rallentato, chi ha trovato un semaforo rosso prima dell’ingresso in autostrada, chi ha fatto sosta all’autogrill, chi aveva l’auto in panne, chi si è fermato per una telefonata magari si è salvato oppure è stato ingoiato dalla voragine: casualità pura.

Ma non siamo un Paese in guerra il che ci farebbe pensare che certe disgrazie non dovrebbero accadere perché comunque sia c’è qualcuno che vigila sulla nostra sicurezza; più avanti diremo qualcosa se sia meglio che a farlo sia il pubblico o il privato.
Certo esiste la fatalità, ma non è questo il caso perché il Procuratore capo di Genova e svariati professionisti hanno escluso tale ipotesi e se non è fatalità siamo di fronte a un crimine per omissione il che incasella questo evento tra quelli a “responsabilità interamente umana” così come l’ha definita Elettra Santori su MicroMega.
Chiarisco subito che sono contrario alla caccia alle streghe e alla ricerca di capri espiatori perché si tratta di scappatoie spesso destinate a non incidere sulle vere ragioni e cause scatenanti individuando in uno o pochi responsabili gli unici colpevoli del misfatto. A questo penserà la magistratura che fin da subito si è detta, sollecitata anche dall’opinione pubblica e dalla politica, determinata nell’individuare le eventuali responsabilità penali sull’accaduto. Ma la politica non può e non deve aspettare la magistratura, deve agire e dare delle risposte.
Ricordando ancora una volta i morti e le loro famiglie, che si chiederanno per sempre perché ciò sia potuto accadere, vorrei anche aggiungere al dibattito in corso, nella mia veste di amministratore pubblico e nonostante si siano già versati fiumi di inchiostro, qualche riflessione un paio di settimane dopo l’accaduto.
Il crollo del viadotto Morandi rappresenta plasticamente la fine della corsa alle privatizzazioni selvagge e a decenni di una politica irresponsabile che come sostiene Tomaso Montanari: “ha smontato lo Stato, regalando a privati amici gli assetti strategici per il futuro del paese. L’interesse pubblico è stato sacrificato a quello privato” e nel dire questo mette sullo stesso piano centrosinistra e centrodestra evidenziando che: “Uffizi, acqua o autostrade, il meccanismo è stato identico e perverso. E oggi i grandi giornali oligopolistici parlano di risentimento …”
Il problema di fondo è che la politica è diventata subalterna al mercato che notoriamente, in nome di una presunta salvifica concorrenza, bada esclusivamente a massimizzare i profitti speculando oltre che sulla pelle dei lavoratori, sulla sicurezza e sulla manutenzione ordinaria delle opere o infrastrutture gestite così come è accaduto in questo caso. Non c’è nessun fantasma da evocare o ipotesi strampalate di attacchi ad personam qui siamo di fronte a un ponte crollato e ciò non avrebbe, molto semplicemente, dovuto accadere. Quali altre motivazioni si dovrebbero addurre per poter procedere alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia? C’è da sperare che l’attuale Governo, al di là di tutti i limiti che gli si possono attribuire, tiri avanti dritto su questa strada che addirittura un balbettante ex Ministro del Rio ha detto essere quella giusta nonostante il suo far parte di quel sistema politico/partitico che ci ha messi in queste condizioni.
Mercato privato che, ormai è chiaro, ha causato e continua a causare un costante impoverimento culturale e materiale, aumentando il divario tra sempre meno ricchi e un sempre maggior numero di poveri, concorrendo fortemente ai disastri ambientali, all’inquinamento, al surriscaldamento del clima, alla precarizzazione delle nostre vite oltre che generare, nel caso italiano, più danni che benefici.
Con la complicità della politica, compresa quella di centrosinistra, è passata la convinzione che il privato sia l’unico soggetto a poter garantire efficienza mentre il pubblico è solo corruzione e malaffare. Ovviamente ciò non ha nessun fondamento si tratta solo di mettere in piedi un sistema burocratico all’altezza: efficiente, preparato e onesto se addirittura negli USA, l’economia di mercato per eccellenza, il numero di dipendenti pubblici è del 25% superiore al nostro. Certo non dobbiamo pensare alla vecchie partecipazioni statali, ma si dovrebbe puntare, come sostiene Alessandro Somma: “a chiedere a gran voce un ruolo diverso dello Stato, che deve cercare di presidiare la subordinazione della politica all’economia, per promuovere il suo opposto: un ripensamento dell’economia a partire dalla politica, ovvero una disciplina dei mercati secondo le istanze individuate attraverso la partecipazione democratica”. Partecipazione democratica che dovrà essere la chiave di volta di un processo che per ora non pare abbia trovato sostenitori in grado di andare al di là degli slogan. Staremo a vedere.

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Francesco Comotto

Consigliere Comunale a Ivrea dal 2013.

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